Vorrei raccontare le persone che nessuno vede, quelle che nel silenzio delle mattine luminose o sporche si chiedono perché sono nate. Quelle che non hanno realizzato sogni, non hanno saputo vincere, quelle che sentono il proprio limite come un confine reale, non fanno sconti al proprio dolore, non hanno bisogno di distrarsi da sé stessi e dal mondo. Vorrei raccontare le persone che nessuno accompagna, quelle che sanno, con particolare dovizia e puntualità, che l’amore non basta. La cui ferita è incomprensibile agli altri perché non sanguina, non grida, non macchia i bei vestiti ma respira nel silenzio e continua a lacerarsi, ogni volta che una piccola imperfezione fa capolino. O che non sono sotto le bombe ma gli tocca subire il colpo, senza il diritto di chiamarsi vittime.
Vorrei raccontare le persone che non urlano la loro rabbia ma si piegano lentamente sotto la siccità del loro sfiorire. Quelle che sanno di aver subito un danno, ma continuano a portarne gli effetti senza spalmarli sui colpevoli. Vorrei raccontare le loro passeggiate notturne, i singhiozzi soffocati, la guerra e le battaglie a cui partecipano all’alba, quando tutti sono pronti a partire e loro vorrebbero rimanere immobili.
Vorrei raccontare chi sopravvive solo di tanatosi, restando fissate a terra, per non essere percepiti, infastiditi o ancora colpiti. Quelli che hanno tutto ma sanno di aver perso la propria anima, quelli che hanno niente e nel niente vivono con grazia. Vorrei raccontare chi ha scelto la gentilezza, come strada, non per natura. Come forma delle proprie mosse, scambiate per debolezza o cortesia. Vorrei raccontare di ogni istante in cui si fermano e fanno un passo indietro, quando il troppo stroppia, quando capiscono che l’altro non può davvero sapere cosa li anima, non lo vede, né lo cerca.
Vorrei raccontare di chi ha fallito nel lavoro, nella propria casa, nella figliolanza o nella maternità, ma solo di quelli consapevoli che non hanno difese e giustificazioni e che portano la propria mancanza come un tumore, non certo come un alibi.
Vorrei raccontare i lavapiatti che lavorano alle spalle di tutti, che in silenzio puliscono le godurie altrui e con gli occhi nella schiena sanno vedere tutti i movimenti e l’aria che si respira nelle sale di bivacco. O del chirurgo che ha la tentazione di essere Dio, che ultimo non è di certo, se non quando ritorna a se stesso e non sa a che cosa serva salvare una vita perché la sua, salva, non lo è. O i maestri che ogni giorno provano a istillare speranza, usando parole e contenuti che nessuno ha la sete di ascoltare. Vorrei raccontare delle donne che hanno perso un figlio, sole, come quelle che aspettano il marito in guerra, a cui nessuno attribuirà una trincea, o una battaglia tantomeno una medaglia, perché tanto “è la natura”. O quelle malate che si alzano senza lamentarsi, non perché non vorrebbero, ma perché nessuno è lì a compatire il lamento.
Vorrei raccontare chi invece la compassione la porta nelle gesta e nello sguardo, perché ha capito che altro modo di conoscere non esiste. E dei poeti che vedono il mondo in altre forme, dei musici che lo ascoltano in altro modo, degli scultori che lo plasmano, degli scrittori che lo restituiscono alla vita eterna. Senza show, senza location, senza inaugurazioni e consegne pompose, fanno quel che devono perché altro non sanno fare.
Vorrei raccontare di chi spera nonostante tutto, di chi gira la testa e cambia direzione, delle pecore nere, delle prostitute che non sanno di avere un tempio nel corpo, di chi cade e cade di nuovo. Gli ultimi, tanto difesi dalle religioni, dalle idee, dalle società inclusive e benpensanti che però rimangono ultimi nel qui ed ora e sono compatiti e sminuiti. Non vorrei raccontare della deficienza della massa che ingoia e si nutre di qualsiasi merendina le dia sollievo, ma delle persone, una ad una, il cui volto è ben distinto, ben riconoscibile benché non diverranno mai noti, acclamati, riconosciuti e ricchi.
Vorrei raccontare il dolore di chi è stato abbandonato, che diviene forma e criterio di ogni amicizia, amore, contatto e se non perdona, si trasforma lui stesso in abbandono, mascherato da fughe, circostanze, responsabilità ineluttabili, silenzi e sa scomparire.
Tutta una folla di esseri umani che non mi appare come una somma, ma sono lì, uno più uno più uno, più uno, poi un altro e un altro ancora, che proliferano su altre stanze, cambiando canale, strade. Più sono estranei, più li riconosco: al mercato, in fila nelle agenzie di riscossione, per strada mentre vanno pacati, o fermi a un caffè. Li vedo tutti, singolarmente, personalmente, carnalmente. E sono frecce veloci, appuntite come matite che stanno per incidere il foglio. Questo enorme mistero confuso che è l’umano che sopravvive al brutto, al niente, al male.
Vorrei raccontare la loro bellezza che è tenace, impetuosa e anche ridicola. Incodificabile ma cristallina e vera. Vorrei raccontare quanto è stata lunga la loro attesa, quanto ha perdurato la loro fatica, quanto mimetismo hanno usato per non vendicarsi dell’ingiustizia e della sproporzione che gli è toccato vivere.
Vorrei raccontare di ogni bambino solo sulla terra, che ha dovuto accontentarsi di un rifugio, di un surrogato, di un mentore. Che non sa cosa sia essere figlio e che dovrà crescere rubando affetto e consistenza da ciò che gli si farà incontro. E di coloro che incontreranno pronti a dargli un bicchiere d’acqua mentre lui desidera il mare. E anche di quelli che hanno avuto tutto e che non sapranno mai cosa significa mendicare, pregare, implorare. Perché anche quelle sono mancanze terribili.
Vorrei raccontare chi si vergogna di ciò che è diventato, che sa che poteva fare diversamente e sopporta il proprio volto, prima di accusare il mondo.
Vorrei raccontare di chi ha deciso di sperare, di ricominciare, di amare sapendo che ogni speranza, ogni inizio e ogni amore, non basteranno. Quelli che hanno saputo voler bene senza essere amati abbastanza, quelli che hanno cambiato la loro vita ma che non troveranno nessuno che la cambierà per loro.
Chi li proteggerà? Chi li ricorderà? Dove andranno le loro attese?
Vorrei vivere per scrivere di questi, sconosciute moltitudini di anime che camminano tra noi che hanno ancora un volto, un filo di voce e una mela da regalare. Di quelli che danno la loro vita per un ideale, tanto grande da non accorgersi di quanto prezzo debba pagare chi li accompagna al loro votarsi. Vorrei raccontare della ricerca di un senso che cammina sempre su due gambe e su facce affaticate. Dei disperati che hanno tutte le ragioni del mondo ma non hanno ragione a disperare. Di chi lavora di notte, mentre tutti riposano, di chi spreca la notte a non fare l’amore, di chi maledice la notte perché solo accecandosi di luce trova una finta pace.
Vorrei raccontare chi ama davvero, che sono pochi, pochissimi, ma ci sono. E decidono su canoni diversi, emettono note su tonalità impercettibili, sono a volte imbarazzanti nelle loro virate, si mortificano per l’altro e si nutrono di questo loro donarsi. Che sono mezzi divini mezzi uomini o donne, mezzi come a metà e mezzi come portatori di qualcosa che viene dall’eterno. Che sanno di non poter rendere felici coloro a cui danno la vita, perché anche il loro amore non basta.
Vorrei saper scrivere per essere all’altezza di questi racconti, saper guardare, ascoltare, vedere. Vorrei avere una vita a diposizione, tempo a disposizione non interrotto, spazio a disposizione non contaminato, per essere precisa, come un pittore che disegna il tratto, poi pennella, poi colora, poi aspetta che tutto si asciughi e ritorni a puntualizzare, perché in ogni particolare c’è il miracolo dell’unico. Vorrei avere mani fresche e veloci per prendere appunti e fermare ogni particolare di ogni individuo che diventa persona. Vorrei poter esprimere la struggenza che questi ultimi, innocui, silenti volti mi regalano, raccontarli per amarli, ma l’amore non basta.
Vorrei chiedere aiuto alla scrittura, ma anche alla pazienza, alla temperanza e alla costanza, a tutte le virtù che servono per riempire una pagina sincera. Vorrei un po’ di ore solo mie, per raccontare le vite di chi ha vissuto davvero, gli occhi di ha cercato davvero, le mani di chi ha sfiorato qualcuno, davvero. Vorrei raccontarli per amarli tutti ma il mio amore non basta.
Foto di Engin Akyurt, Pixabay