Egli, V. sapeva da sempre che niente era stato e al niente sarebbe ritornato.
Non era una promessa ma una certezza.
Ne era infatti sicuro tanto quanto la percezione della nudità con cui era venuto al mondo. Le scritture lo dicevano e lo confermavano e lui credeva alle scritture. “Sei nato nudo, morirai nudo”. Conosceva anche la polvere. Conosceva il nulla esattamente, precisamente il Nulla in persona, fatto carne. Non il niente che lo si poteva ancora pesare e quantificare, ma proprio il nulla che si vestiva di asfisìa, di bruttezza, di assurdo.
Il Nulla aveva in verità mille facce. E anche mosse, gesti: il peggiore era lo sgambetto. Quello che lo faceva cadere coi denti a terra, davanti a tutti. Il Nulla sgambettava al momento giusto, provocando umiliazione e imbarazzo. Rendeva ridicolo l’esserci.
Mentre V. faceva le sue cose, sì le sue proprie cose con la consuetudine e la abitudine di chi sa esattamente cosa siano le proprie cose e in che momento si debbano fare, si domandava tra sé e sé, quanto il Nulla l’avesse allora deriso.
Cosa c’era in mezzo al nulla dell’origine e il nulla della fine?
Tra il nulla dell’inizio, il suo personale Big Bang e quello della fine, dell’implosione, della scomparsa, della perdita, della sconfitta, dell’afasia, dello spegnersi.
In mezzo quel vivere, tra la nascita e la morte, quella vita che chiamavano vita. Gli diceva: «sfidami»!
Ma in effetti l’aveva sfidato, c’era, era nato! Veniva dal Nulla e ora si trovava nel mezzo.
E se non era una sfida questa – quella di comparire dal Nulla sulla terra – cosa doveva significare, in cosa consisteva lo sfidare?
Gli diceva: «allora sorprendimi»!
Ma certamente il Nulla l’aveva sorpreso. Una volta, con l’inaudita bellezza di lei, l’indicibile forza amorosa che provava da sempre… Cosa era allora una sorpresa, se non un cuore fatto di Nulla, che viene dal Nulla, che va nel Nulla, ma ancora sorpreso a poter amare? «Mi deride – diceva – si prende gioco di me. E allora deridimi, tanto io sono un Nulla!
Ma almeno commuovimi! Eterno, tu, che sfidi, sorprendi e deridi il Nulla, almeno commuovimi»!
Gli urlò in faccia, guardandolo davvero in faccia, seguendo tutta la linea dell’orizzonte, mentre il sole calava e si appoggiava alla fatica quotidiana dell’imbrunire, silente nella terra scavata. E per vedere tutta la sua faccia dovette quasi voltarsi tanto era lunga e imprevista quella linea curva che finiva pareva, nell’infinito.
Ripetè: «Commuovimi, indecente»!
Ma che cos’è la commozione se non quella evidenza, quella arresa, di quella volta che si era sentito perdonato, che gli avevano restituito ciò che era stato da lui perduto e che era stato precisamente a lui ridato. Sapere che creature generose si donano e si immolano per la vita stessa, quella mezza vita che prima non c’è poi c’è, poi se ne va… «Almeno confortami, consolami da tutto il male che in mezzo mi hai fatto vedere, confortami dalla derisione, dal patetico, dall’invecchiare, dalla stretta allo stomaco che mi tocca sopportare quando la vedo morire per la vita e vivere per sopravvivere la morte»…
V. non lo provocava, al contempo si sentiva sfidato: si ergeva come la vedetta, come un faro che sa di aver scampato il pericolo dell’Oceano in tempesta. Voleva impallidire di verità svelate, voleva inginocchiarsi all’evidenza, voleva, avrebbe davvero voluto servire la verità e con una spallata, con un balzo e una reale perdita di equilibrio riuscì a sorreggere l’ultima domanda che gli era rimasta nel mezzo. Era ormai buio e la notte amplifica il freddo del suo cuore.
«Come può tutto finire nel nulla? Posso ammettere, sperimentare, verificare, vivere sapendo di provenire dal nulla, avendo la certezza di consistere nel nulla, muovermi nel nulla, conoscere nulla, ma come posso accettare di finire… che lei finisca nel nulla»?
Rimase impietrito nel pronunciare quella sentenza, fissava il vuoto, sentiva il niente del suo corpo, la fragilità del suo trattenersi ancora in piedi e cadde in ginocchio, singhiozzando, e iniziò a sfidarlo, a scostarlo, a ribellarsi a violentare la sua certezza, a ripensare alle cose fatte a quelle da fare domani… Tu sei il Nulla e sarai niente, ma lei non potrà ingoiarsi nel tuo mancare, nel tuo non essere, poiché ella era eterna e buona e bella.
Versò tutte le lacrime del mondo per avere un po’ della sua attenzione, ma il Nulla non rispose per tutta la notte. Lo pregò, poi lo chiamò, poi lo bestemmiò ma non ottenne risposta.
Voleva solo essere smentito, voleva non conoscere la verità, ma appellarsi a una illusione, come tutti! A una speranza, come tutti! Come tutti gli altri, voleva avere una fede, essere uguale a ogni uomo vissuto sulla terra, niente di più, niente di meno, ma il Nulla non rispondeva, confermando se stesso.
Il pezzo in mezzo, quello dopo l’inizio, quello dopo il Nulla e prima del Nulla che doveva venire, prima della fine, quel pezzo di vita che tutti chiamavano “vita”, era così di fronte alla più tremenda verità.
E quando le ginocchia si ghiacciarono a terra, quando percepì la brezza prima dell’alba, la linea dell’orizzonte si rifaceva chiara e lo guardò di nuovo in faccia: il suo magone preannunciava il nuovo inizio. L’inizio di ciò che stava in mezzo, prima della fine.
Arrivò lei, inaspettata, a sorpresa e con la faccia fresca del buongiorno, lo rapì negli occhi e gli disse: