Storia di un medico buono ucciso

…e di un figlio scrittore che ne ha raccontato l’esistenza.

Matrioska colombiana: una vita, un libro, un film.

Il 25 agosto 1987 Hèctor Abad Gomez, un professore universitario noto per la sua lotta per i diritti civili, venne ammazzato nella sua città, Medellin, perforato da colpi di pistola, in un paese, la Colombia, insanguinata dal narcotraffico e dalla corruzione.

Suo figlio, Héctor Abad Faciolince, diciannove anni dopo ne racconterà la storia in un libro, pubblicato in Italia per Einaudi, dal titolo L’oblio che saremo, El ovido che que seremos. Questo verso malinconico è l’inizio della poesia attribuita a Borges, che Héctor-figlio trovò trascritta in un foglietto, nella giacca che indossava il padre il giorno dell’omicidio. Il film La nostra storia (il titolo  in Italiano non fa onore a Borges), vince premi su premi (candidato all’Oscar e che ai Goya Awards vince nella categoria “Miglior film iberoamericano“), gira il mondo e viene tradotto in più lingue e l’interpretazione di Javier Cámara Rodríguez (nella foto di copertina) è davvero magistrale.

Anche il libro quest’anno rifà il giro del mondo e viene tradotto perfino in turco. Andate a cercarlo negli scaffali di Einaudi, perché è uno scritto coraggioso sì e anche sincero dove non c’è la volontà di disegnare eroi ma l’arresa alla bellezza di una umanità complessa ed efficace, saggia e semplicissima. Raccontato dentro le trame di rapporti sanciti dall’amore sicuro e protettivo per la propria famiglia, la propria città e per la propria terra, ma anche dall’amore rischioso e ai tempi scandaloso, per l’ultimo, l’inerme, l’indifeso, il povero.

Non è la prima pellicola che è uscita sulla vita di Héctor Abad Gomez perché anche sua nipote, Daniela Abad, emergente allora, oggi affermata, regista colombiana, nel 2015 ha voluto raccontare la figura del nonno in un bellissimo documentario intitolato Carta a su ombra, intervallato da spezzoni originali e interviste che non solo ci dà una idea della statura di questo medico, ma ci inoltra nella vita delle famiglie colombiane che diedero un senso, una svolta e una spina dorsale a un paese tristemente noto allora a noi, solo per il traffico di coca. Una Abad nipote, nata a Torino e regista che trapassando il tempo, pare erediti quel realismo pragmatico misto a ideali superiori che il padre e il nonno le hanno regalato, ma che fa suo, in uno sguardo femminile ma mai sentimentale, raccontando una Colombia bellissima, verdissima, complessa e sofferta e piena di interrogativi irrisolti.

Il libro di Héctor-lo-scrittore-figlio è raccontato con quella puntuale verità che l’Autore ricerca in se stesso e in ciò che gli è stato consegnato, quasi mettendo al vaglio ogni frammento, ogni insegnamento che il padre ha voluto trasmettere. I ricordi di un cattolicesimo dell’etica ferrea, senza domande né troppa pietà e di un padre ateo ma religiosissimo, pieno invece di domande e soprattutto che prova a rispondere alle urgenze sì, ai bisogni (sanitari e  civili) ma che si interroga continuamente e che educa i suoi allievi all’Università a un confronto sempre critico, mai ideologico o violento. Un atto di vera generosità consegnare le intime pagine che raccontano suo padre, a noi. Una generosità che pare abbia ereditato e fatta sua, che si ravvisa anche nella carriera di columnista spudorato e apolitico nelle pagine dei più noti quotidiani sudamericani.

Il bambino, io, amava quell’uomo, suo padre, sopra ogni cosa. Lo amavo più di Dio.

Il bambino Héctor-lo-scrittore-figlio ha una percezione di assoluto cammino e protezione di fronte a un padre tanto sicuro, tanto certo e tanto affettuoso (per nulla scontato se pensiamo all’idea patriarcale che ha caratterizzato quegli anni, in sudamerica poi…). Un padre anche rigido, o meglio, risoluto sul piano dell’educazione a quella che oggi chiameremo “inclusione”, ma sopratutto, un padre che offre ai suoi figli comunque privilegiati, la visione di un mondo che va servito e va protetto là dove manifesta la sua più grande debolezza, in quei luoghi nascosti della povertà, dell’infanzia derubata, della sporcizia, dei germi, nei quartieri dimenticati, nel traffico illecito di anime e droga. Il grido di un professore universitario che fa della scienza medica un inno alla ricerca della salute come un diritto e non come un premio, e della professione una collaborazione tra uomini buoni. Tanto la famiglia è una nicchia di protezione assicurata, tanto ognuno dei sei figli (cinque sorelle e il piccolo Hèctor) è lanciato nella realtà a perseguire la propria strada al servizio del mondo.

Nessun problema è solo degli altri

ripete il padre ai figli. E così li educa. Li tira su con una ipotesi che cambia quel pezzo di mondo e lo rende più umano. E poi l’omicidio, la morte, l’assassinio per strada, il male quello che ormai è un pezzo di tg o una notizia on line, abita invece in certe vite per sempre e per sempre le segna e le rende diverse. Raramente si diventa buoni, raramente ci si apre al mondo per comprenderlo, dopo un lutto così efferato. Dopo uno strappo così violento si potrebbe odiare o almeno voler maledire la vita. Ed ecco che qui invece il seme buono del padre, si trasforma nel figlio e nei nipoti come un frutto, appunto di coesione, di domanda, di ricerca, di confronto, di amore per quell’umanità che ha perso la sua strada. La sua opera continua e si ingigantisce anche dopo la morte.

Quel biglietto trovato era forse un presagio, una consapevolezza che alimentava ogni passo, ogni decisione…

Già siamo noi l’oblio che saremo.

Polvere elementare che ci ignora (…)

Già siamo nella tomba le due date

dell’inizio e della fine

Quando Hector divenuto scrittore, con “una gestazione decennale”, ormai conosciuto e tradotto in tutto il mondo, inizia a trascrivere quella esperienza di figliolanza rivede la sua infanzia, alla luce della presa di coscienza della fortuna di avere avuto quel padre, quella formazione. Arriva all’orizzonte, un esempio, un gigante che sconfina tra certezza e amore:

Da bambino volevo qualcosa di impossibile: che mio padre non morisse mai. Come scrittore volevo fare qualcosa di altrettanto impossibile: far risorgere mio padre. Se ci sono personaggi di fantasia, fatti di parole, che saranno sempre vivi, non è possibile che una persona reale sia ancora viva se li trasformiamo in parole? È quello che volevo fare con mio padre morto: renderlo vivo e reale come un personaggio immaginario.

Così Héctor-lo-scrittore-figlio, col suo libro costruisce non solo un romanzo familiare incredibilmente intimo ma anche un altare ai valori civili, alla lotta per i diritti, al senso di giustizia, di bellezza, di verità che dovrebbe animarci e che talvolta invece sono valori che incarnano in personaggi unici, irripetibili e per questo preziosi. Il lutto per la sorella Marta, morta prematuramente nel 1972, fa da preavviso al cuore di questo bambino, che il dolore esiste. Ma in una terra martoriata come la Colombia, non è che mancasse questo senso del dramma, dell’incompiuto, anche se il padre, lo tira su ricordandogli che:

alla fine l’unica cosa che cerchiamo è la Bellezza.

Se vi avesse incuriosito questo film, già disponibile in più piattaforme, andate a vederlo con la mente sgombra e il cuore aperto, e se ancor più vi ha incuriosito chi ne ha scritto la storia, andate a conoscere questo scrittore, laureato anche in Italia, traduttore, editorialista, che troppo abbiamo dimenticato per scrittori di moda e facili da mandar giù. Andate a leggere i suoi libri e sentirete di dover come spostare il baricentro: non è solo la vecchia l’Europa la regina della buona letteratura e dei valori civili.

Da poco anche la moglie di questo medico e insegnante tanto amato, la signora Cecilia Faciolince è mancata e mi piace pensare che abbia raggiunto il professore. Ora che questi sposi colombiani sono nel silenzio, dobbiamo forse noi, diffondere, far conoscere queste figure, questi pezzi di umanità bella che hanno cambiato la storia di tanti e anche la mia e che ci sono necessari.

Dal canto mio ho solo gratitudine per l’Héctor medico ma ancor di più per Héctor scrittore. Ho sempre pensato che sia molto difficile essere figli di genitori assenti ma non avevo mai compreso quanto fosse drammatico essere all’altezza di padri così presenti. Presenze che hanno sì una data di nascita e morte, ma certamente non hanno mai più fine.

 

 

 

 

Héctor Abad Faciolince e me

 

Un documentario della Penguin Colombia, 25 ago 2020.

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